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RENDERE PIU’ LIEVE IL DISAGIO ALLE FAMIGLIE IN DIFFICOLTA’

Renzo Zagallo e la presenza in Cadore dei volontari di “Vita senza dolore”

Chi viene toccato da motivi di sofferenza tende facilmente a chiudersi in se stesso, a evitare quei contatti sociali che potrebbero diventare, invece, un aiuto importante. Succede soprattutto a livello familiare, per un meccanismo psicologico di riservatezza ampiamente comprensibile, ma in seguito al quale si accentuano le difficoltà esistenziali.

Nell’ottica di un superamento di tale situazione è presente in Cadore, dal 2009, l’associazione “Vita senza dolore”, alla quale aderiscono attualmente una quarantina di soci: persone motivate da una spinta volontaristica tesa soprattutto ad alleviare la solitudine, la paura dinanzi a prospettive segnate pesantemente da patologie irreversibili ed evolutive. E’ il caso della demenza, che anche in Cadore riguarda un numero crescente di abitanti.

Ne abbiamo parlato con il presidente dell’associazione, Renzo Zagallo, succeduto nel dicembre scorso al medico Mohamad Ghaleb Ghanem.

Qual è la situazione attuale?

Scopo iniziale di “Vita senza dolore” era l’aiuto rivolto, a domicilio, ai malati terminali e alle loro famiglie. Ma col tempo ci siamo trovati dinanzi a problematiche che limitavano il senso della nostra presenza. Eravamo perfino arrivati ad ipotizzare la chiusura dell’associazione, soprattutto per la mancanza di richieste di intervento. Ma sarebbe stato un vero peccato disperdere quel patrimonio di energie positive che avevamo maturato, di disponibilità solidale fra la gente. Per questo abbiamo pensato di dar vita ad un nuovo progetto, su sollecitazione anche di persone che si trovavano ad affrontare a livello familiare la demenza.

Come si caratterizza tale progetto?

L’obiettivo è sempre quello di star vicini a chi deve confrontarsi con situazioni difficili da gestire, sostenendo psicologicamente e magari intervenendo a livello di ausili, cioè di quelle “attrezzature” (presidi), come i letti elettrici, che almeno in parte possono alleviare il disagio e la sofferenza. Il tutto cercando di creare sinergia, di non disperdere le forze, anche mirando alla costituzione di piccoli gruppi territoriali formati da persone accomunate dagli stessi problemi. Per questo siamo in contatto con l’Unità Locale Socio-Sanitaria e in particolare con il Distretto. Il primario geriatra di Belluno, Gianfranco Conati, si reca periodicamente in Cadore a fare consulenza e con lui stiamo ipotizzando l’organizzazione di un convegno ad ampio respiro, anzitutto per sensibilizzare la popolazione.

Quando lo farete?

Fra settembre e ottobre. Sarà un primo punto fondamentale per ampliare e rendere più significativa la nostra presenza sul territorio. Nel frattempo ci stiamo muovendo soprattutto a livello di ausili. Recentemente abbiamo consegnato un letto elettrico con materasso antidecubito a pazienti di Lozzo e Pieve. Un’altra richiesta in tal senso ci è giunta da Lorenzago.

Chi vi aiuta concretamente?

Abbiamo appena ricevuto un contributo dal Rotary club Cadore-Cortina e sottoscritto una convenzione con il Comune di Calalzo per l’utilizzo di due letti elettrici provenienti dalla dismessa casa di riposo “Vascellari”. Inoltre una famiglia di Cortina ci ha fatto dono di un letto elettrico quasi mai utilizzato. Anche la sezione cortinese dell’Accademia della cucina si è attivata, nel corso di una serata conviviale, per raccogliere fondi.

Come arrivate alla determinazione dei reali bisogni esistenti sul territorio, visto che vi muovete da Sappada al Centro Cadore, dalla Val Boite a Cortina?

Abbiamo predisposto un questionario. Ma, per contattare le famiglie, contiamo soprattutto sulla collaborazione dei medici di base, dai quali troviamo una crescente disponibilità. Per noi è importante che le famiglie non abbiano la sensazione di sentirsi abbandonate. Per questo cerchiamo di accostare e accogliere le persone così come sono, senza esprimere valutazioni o giudizi: con un atteggiamento di fondo basato sull’empatia. I supporti da offrire sono molteplici. Si pensi ad esempio alla gestione delle pratiche burocratiche finalizzate all’assistenza.

Professor Zagallo, cosa l’ha spinta personalmente ad entrare nell’associazione?

Nella mia vita ho sempre avuto, direi quasi spontaneamente, un’attenzione verso le persone più svantaggiate. Ma la spinta decisiva è venuta da mia moglie Giuliana, medico, che in passato ha seguito da vicino i pazienti bisognosi di cure palliative. A colpirmi è stata la passione e la delicatezza con cui la vedevo muoversi. Io, nell’associazione, sono entrato nel 2012. Ma dal 2014, quando sono cessato dal mio incarico di dirigente dell’istituto superiore “Fermi”, ho più tempo a disposizione. Così ho intensificato il mio impegno.

Eravamo partiti parlando dei malati terminali da aiutare e sostenere a livello domiciliare. Avete chiuso la vostra presenza in questa direzione?

Tutt’altro. Anzi, stiamo anche pensando ad una collaborazione con l’associazione Cucchini di Belluno. Esiste, fra l’altro, la necessità di una adeguata formazione dei volontari, dal momento che i compiti che sono chiamati a svolgere - sia per i familiari dei pazienti terminali che per quelli dei pazienti con demenza - sono assai delicati e vanno gestiti evitando ogni forma di superficialità. Ritengo di grande importanza la sinergia da raggiungere con enti e associazioni, a partire dall’Ulss. Ho potuto constatare come in Cadore la disponibilità a collaborare, a dare un aiuto concreto nei momenti di particolare bisogno, è tanta. Penso ad esempio agli alpini o all’Auser, ma potrei citare altri gruppi e associazioni. La generosità certamente non manca. Ne abbiamo assoluto bisogno, nella consapevolezza che da soli si può fare ben poco.


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